Napoli e i bambini perduti della paranza

Napoli e i Bambini Perduti della Paranza – La Paranza dei Bambini – di Roberto Saviano.

 

Business sui mali di Napoli?

La Paranza dei Bambini, di Roberto Saviano, è il primo romanzo che il giornalista e scrittore ha mandato alle stampe dopo il successo internazionale di Gomorra, il libro di denuncia sulla camorra che gli ha garantito una fama globale e una vita pericolosa, fatta di scorte, minacce, ma anche accuse, direttamente proporzionali al suo successo, di “fare business” sui mali di Napoli e di un Mezzogiorno stritolato nella morsa della malavita. E’ indubbiamente vero che in una società sempre più globalizzata, parlare bene o male (ancora meglio) di qualcosa o qualcuno, ne garantisce un rapido e continuativo successo; ognuno può giudicare come crede, ma il punto è che questo primo romanzo, se forse non bissa il clamoroso exploit del saggio d’esordio, certamente ha monopolizzato il mercato del libro nel Natale 2016, e con una certa sicurezza possiamo affermare, anche, meritatamente.

Bambini perduti come fatto culturale.

A Napoli, a Forcella, la vita di Nicolas e dei suoi amici sembra uguale a quella di qualunque altro bambino o ragazzino del resto d’Italia: scuola, motorini, videogames, atti di bullismo più o meno fantasiosi, come farla in testa al moccioso che ha guardato troppo a lungo la fidanzatina di un altro, ma questa è solo apparenza. Manca qualcosa a queste anime, una base culturale solida, possiamo definirla, su cui costruire un futuro fatto di regole, di giusto e sbagliato, di sogni e obiettivi da perseguire simili a quelli di tutti i ragazzini d’Italia e del mondo… Ma questa è Napoli, non è Italia, e la cultura e le regole che si sono fatte strada hanno a che fare con secoli di invasioni straniere, di popoli che si sono mescolati in un crogiuolo che sa di mitologia, di culture costruite sulla sopravvivenza dallo straniero o dall’autorità momentaneamente vigente; a Napoli non ci si sente italiani né occidentali, ci si sente napoletani, con orgoglio si rivendica il diritto di fare proprio solo quello che fa comodo e rifiutare invece tutto il resto. E allora, quando le regole sono solo apparenza e si rispettano quando fanno al caso proprio, basta cambiare punto di vista, un’esigenza diversa, e la facciata va in pezzi: così il cacare in testa diventa sparare ai neri per strada, per divertirsi, o per imparare ad usare le armi dei grandi che un vecchio capo pentito, ormai ai domiciliari, ha donato a una manciata di ragazzini per tornare a fare “business” nelle piazze della droga, che il “Micione”, il nuovo re, gli ha ormai sottratto.

Avere di più, anche per poco.

Dunque è un fatto culturale, non è malessere e povertà, o almeno non solo quello; Nicolas e i ragazzini che lo seguono, stimandolo e temendolo, hanno una casa, genitori che lavorano, hanno il motorino e l’iPad, il computer e gli smartphone, ma questo non basta: vogliono avere di più, sempre, e allora taglieggiano prima i commercianti con pistole comprate per quattro soldi dai cinesi, e col ricavato si comprano scarpe da ginnastica, magliette, videogames, senza risparmiare nulla perché l’obiettivo è bramare ancora, senza mai fermarsi. Dal pizzo poi, le rapine e la droga sono un gradino molto alto e pericoloso, ma pur sempre un gradino, uno solo, per non avere voglia di salirlo, fino al sogno della paranza, averne una propria, per comandare, finalmente. La regola principe in queste terre bellissime è da sempre sopravvivere e prevalere, il senso dell’onore sta nel “farsi rispettare” ovvero “farsi temere”, questo è il successo vero, quando tutti hanno paura di te, anche solo per poco tempo, anche se poi arriverà qualcun altro che a dieci anni ti punterà una pistola in faccia e premerà il grilletto come fosse il telecomando della PlayStation.

Disprezzo per le regole vigenti.

Il disprezzo per la vita comune di chi lavora, di chi rispetta le regole, è la prima droga che avvelena il sangue di questi bambini, tanto che con “faticare” ci si riferisce al delinquere, al taglieggiare, allo spacciare e uccidere, tutto il resto è per i deboli e i falliti, come il padre di Nicolas, un insegnante che il figlio considera a malapena.

“e poi dentro l’aula li aveva accolti quella scritta sulla legge che Nicolas a vederla aveva dovuto trattenere la risata. Come se non si sapesse qual era la verità, mannaggia il patriarca, che il mondo si divide solamente in fottuti e fottitori. Quella è l’unica legge. E ogni volta che ci andavano, sempre, entrando, gli veniva un sorriso storto.”

Lo sganciamento da qualunque regola precostituita si osserva persino nel rifiuto dei propri nomi di battesimo, che la vita cancella e rielabora con l’esperienza vissuta; e allora Nicolas diventa Maraja, e i suoi paranzini saranno Dentino, Drone, Biscottino, Pesce Moscio, perfino Briato’. E’ come se la scuola e l’inquadramento della globalizzazione nulla potessero per incanalare le vite di queste creature, perché quello che fanno proprio è un crogiuolo di mitologia filmica e leggende popolari, nomi e usanze che vengono da lontano, persi nella storia: una scena de “Il camorrista” diventa così il modello per il rituale d’ingresso nella paranza, con tanto di giuramento fatto col sangue. Colpisce quanto spesso siano la realtà e la vita di tutti i giorni a piegarsi nell’emulazione cinematografica, e non il contrario. “Ras” vocabolo che si perde nella storia di innumerevoli invasioni, di origine addirittura africana, diventa il termine scintillante col quale si identifica il capo della paranza, il “Re”.

Accettazione disincantata della propria sventura.

Come sempre accade, nella fatale vita della “malavita”, la conclusione è conosciuta, sempre quella, come un cane che si morde la coda: ci si innalza e poi si cade, quando qualcuno ha più fame di te, quando alla gente non fai più paura, e anche la “paranza dei bambini” andrà incontro alla tragedia, la morte di un innocente; ma quello che sconvolge e spiega la difficoltà di comprendere appieno la mentalità indomita, sciagurata e disincantata di una parte consistente di questo popolo, è il fatto che nemmeno la tragedia toccata con mano, la perdita che ti ruba un pezzo di cuore, niente di tutto questo può debellare un modo radicato di vedere la realtà e di volerla piegare; anche se alla fine, sempre, è la realtà stessa a piegare chi brama di dominarla.

“Paranza è nome di barche che vanno a caccia di pesci da ingannare con la luce. Il nuovo sole è elettrico, la luce occupa l’acqua, ne prende possesso, e i pesci la cercano, le danno fiducia. Danno fiducia alla vita, si lanciano a bocche aperte, governati dall’istinto. E intanto si apre la rete che li sta circondando, veloce; le maglie presidiano il perimetro del banco, lo avvolgono. Poi la luce si ferma, sembra finalmente raggiungibile dalle bocche spalancate. Fino a quando i pesci iniziano a essere spinti l’uno vicino all’altro, ognuno muove la pinna, cerca spazio. Ed è come se l’acqua diventasse una pozza. Rimbalzano tutti, quando si allontanano i più vanno a sbattere, sbattono su qualcosa che non è morbido come la sabbia, ma non è nemmeno roccia, non è duro. Sembra violabile ma non c’è verso di superarlo. Si dimenano sopra sotto sopra sotto destra sinistra e ancora destra sinistra, ma poi sempre meno, sempre meno. E la luce si spegne. I pesci vengono sollevati, il mare per loro sale repentinamente, come se il fondale si stesse alzando verso il cielo. Sono solo le reti che tirano su. Strozzati dall’aria, le bocche si schiudono in piccoli cerchi disperati e le branchie che collassano sembrano vesciche aperte. La corsa verso la luce è finita.”

Il dialetto stretto: la scommessa vinta del linguaggio.

Saviano vince allora la sua scommessa, perché al di là delle facili polemiche, il suo primo romanzo, per quanto non appassioni e sconvolga e faccia discutere come accadde per la novità e la veridicità dei temi trattati in Gomorra, è un racconto ben scritto e verosimile, e riesce a trasmettere quel senso di fatalismo autolesionistico, croce e sventura di quelle meravigliose terre che si affacciano sul golfo, che troppo spesso ruba fatalmente anche l’infanzia e la sua innocenza. Anche quella rischiosa del linguaggio è una scommessa vinta dall’autore, perché l’uso stretto del dialetto rende più autentica e paradossalmente più decifrabile una realtà altrimenti troppo lontana per tutti, e quasi incomprensibile a molti.
Libro riuscito allora, e lo diciamo con quella frase perentoria e definitiva tanto usata dai bambini perduti della paranza, immaginando quelle facce ancora imberbi, ma già indurite, contrarsi nella foga del proferirla: “Adda murì mammà.”

Luca

 

Foto di Luca

Foto “street art” di Anna De Santis

 

 

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paginerecensioni-paranza-dei-bambini-copertinaLa paranza dei bambini
Roberto Saviano
Editore: Feltrinelli
Lingua: Italiano
Copertina flessibile
18,50€
ISBN9788807032073

 

 

 

La trama.

Dieci ragazzini alla conquista di Napoli, i loro soprannomi sono Maraja, Dentino, Lollipop, Briato’, Tucano; hanno scooter e scarpe firmate, hanno famiglie normali ma sono bambini e adolescenti che non hanno un domani. Sanno che “i soldi li ha chi se li prende” e che la vita si divide in fottuti e fottitori, dunque non temono la prigione né la morte. “La paranza dei bambini” è il romanzo dell’ascesa di un gruppo giovanissimo legato alla Camorra e di Nicolas Fiorillo, il suo capo. Imparano a sparare con pistole semiautomatiche e AK-47 mirando alle parabole e alle antenne, sui tetti della città, poi terrorizzano passanti e commercianti per le strade, in sella ai loro scooter. A poco a poco conquistano territorio e stringono alleanze con vecchi boss ormai decaduti. Paranza è nome che viene dal mare, nome di barche che vanno a caccia di pesci da ingannare con la luce, ragazzini illusi di trovare il paradiso che rimangono intrappolati nelle maglie della malavita, senza ritorno.

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L’autore.

Scrittore e giornalista italiano, si è laureato in Filosofia all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, allievo dello storico meridionalista Francesco Barbagallo.
Dopo il successo di Gomorra, atto d’accusa contro la camorra, ha subito minacce che hanno persuaso il ministro dell’interno Giuliano Amato a conferirgli una scorta e a trasferirlo lontano da Napoli. Con Gomorra Saviano ha vinto: il Premio Viareggio-Repaci Opera Prima, il Premio Giancarlo Siani, il Premio Dedalus, Il Premio Edoardo Kihlgren e il Premio Lo Straniero, ed è stato tradotto in 43 paesi.
Ne è stato tratto uno spettacolo teatrale, che è valso all’autore gli Olimpici del Teatro 2008 come migliore novità italiana, e l’omonimo film (uscito nelle sale italiane il 16 maggio 2008) premiato a Cannes nel 2008 con il Gran Prix du Jury e candidato all’Oscar come miglior film straniero.
La bellezza e l’inferno (Mondadori) è una raccolta di saggi del 2009, nel 2010 invece esce il libro con DVD La parola contro la camorra (Mondadori).
Del 2010 è il successo del programma Vieni via con me, condotto da Saviano e Fabio Fazio, e successivamente esce Vieni via con me (Feltrinelli 2011) la raccolta dei monologhi di Saviano.
Del 2013 è ZeroZeroZero, uscito per Feltrinelli.
Collabora con “La Repubblica” e “L’espresso”.

 

2 thoughts on “Napoli e i bambini perduti della paranza

  1. Io ho trovato la polemica, dei giorni scorsi, tra Saviano e de Magistris un po’ stucchevole e pretestuosa. Soprattutto da parte del sindaco di Napoli. E’ vero che Saviano fa “businnes” con la situazione di Napoli ma… perché non dovrebbe farlo? (Tra l’altro a che prezzo lo fa: non mi metterei mai e poi mai nei suoi panni!) Napoli è anche questa purtroppo e non sono balle… I suoi problemi non sono risolvibili, come ritengono certi pensatori limitati di destra, con più carcere, più polizia, più soldati, più durezza. L’educazione e la cultura mafiosa si combattono solo con altrettanta educazione e cultura basate su principi e valori (oltre che sull’esempio degli adulti, che spesso latita) alternativi. Cambiare una cultura generalizzata, un modo di pensare e di vivere, non è facile e implica un tempo molto lungo, anni, decenni, forse secoli. Quindi perché fare polemica? Perché voler nascondere, a tutti i costi, dietro la facciata delle poche (poche in proporzione alle dimensioni del problema mafioso) cose buone, fatte dall’amministrazione comunale, questo dramma gigantesco? Perché? E’ pretestuoso… e politico…

    1. Effettivamente certi proclami politici sanno molto di costruito, propagandistico; negare una situazione sociale storicamente radicata sul territorio e nel dna di chi lo popola, opponendo un ottimismo di parte (e francamente infondato) solo perché quel territorio lo si amministra, è poco serio. Ancora di più se si attacca chi denuncia mettendoci la faccia e rischiando la vita.

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