Una vita in fumo; colpa e perdono

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Una Vita in Fumo; Colpa e Perdono – Mai Avuto Una Famiglia – di Bill Clegg.

 

Mai Avuto Una Famiglia è il primo romanzo dell’americano Bill Clegg, già straordinario autore dei memoir Ritratto di Un Tossico da Giovane, e 90 Giorni. Giustamente selezionato per il National Book Award, il Man Booker Prize e la Andrew Carnegie Medal, questo romanzo profondamente dolente è un capolavoro di delicatezza e crudeltà, ma non la semplice crudeltà di cui si macchia l’uomo, bensì quella più misteriosa e spesso incomprensibile del vivere e dell’esistere, un’attitudine a cui pochi sono avvezzi ma a cui tutti sono costretti, tutt’altro che a proprio agio; sì, è una parola grossa crudeltà, ma come negare l’essenza di una realtà imperscrutabile che dalla meraviglia ti getta, senza preavviso ed apparente senso, nella disperazione più cupa, nel senso di colpa, nella privazione debilitante di tutto ciò che più conta nel nostro esserci interiore ed esteriore nel mondo, alla ricerca di un perdono salvifico e forse irraggiungibile?

Casualità e tragicità di una realtà indifferente.

La casa di June va a fuoco sotto i suoi occhi, il giorno prima del matrimonio di sua figlia, con dentro tutta la sua vita, coloro che ama… Comincia con la fine, Mai Avuto Una Famiglia, l’epilogo lo conosciamo da subito e da subito ci stordisce con il cruento accadere di un destino che appare più tragico nella sua casualità, un’accidentalità indifferente a tutto il lavorio, la fatica, il travaglio fisico e umano che si è reso necessario a coloro che sono arrivati fin lì, a quel matrimonio, a quella festa che in questa specifica storia rappresenta un traguardo complicato ma atteso e guadagnato, una sorta di pacificazione tra persone legate da sentimenti profondi che la vita ha messo alla prova ed incrinato. Da questo fatto tragico, assodato, Clegg ci immerge in un accorato racconto a più voci, utilizzando il tempo a suo piacimento per mostrarci le tante facce ed impressioni di coloro che vivendo sono arrivati a quell’epilogo, ognuno raccontando una percezione del reale assolutamente personale e spesso completamente diversa da quella degli altri, quasi a testimoniare che la realtà non è unica ma si materializza negli occhi di chi guarda.

La fede come salvezza dal naufragio di ogni senso, e come possibilità di perdono.

I personaggi che emergono dalle pagine risultano dolorosamente reali al lettore, che riesce a leggere nei loro pensieri e nelle loro sofferenze, può condividere quel senso di perdita ma anche di desolato rimpianto per ciò che tanto ambito e perseguito è sfuggito per sempre, lasciando le loro mani vuote materialmente e di senso. June accoglie il rimpianto e un distruttivo senso di colpa isolandosi dal mondo, persegue un non vivere, un limbo punitivo che le neghi una nuova vita possibile e immeritata:

Niente ha importanza, pensa. Prima si sarebbe sentita eccitata all’idea di esistere senza obblighi e conseguenze, ma l’esperienza non è affatto come se l’era immaginata. Questa è una mezza vita, un purgatorio spaccato dove il suo corpo e la mente coesistono ma occupano realtà separate. I suoi occhi guardano ciò che è davanti, ma la sua mente ripercorre il passato, giudica ogni scelta fatta, rivive ogni fallimento, porta alla luce ciò che ha trascurato. Il presente passa quasi inosservato.

Non solo June però, anche Luke, ingiustamente vessato, da una vita, per il colore della sua pelle, una presenza che per la donna rappresentava un nuovo inizio; e ancora, il ragazzino taciturno per cui quel rogo non si è mai spento, roso com’è dal timore di esserne stato la causa, e tanti altri, profondamente umani nelle loro brutture e delicate positività. Clegg mette in scena il dramma con una prosa morbida e scorrevole, che accompagna il fatto fisico alla sua genesi interiore fatta di pensieri e di intimità, dolente e nascosta agli altri ma, ed è questa la grandezza dell’autore, non al lettore che di quell’interiorità si ciba, condividendo e comprendendo, a volte commosso, l’enorme e solitaria fragilità. E’ il senso e la sua ricerca dunque, il tema centrale attorno al quale ruotano le piccole vite di questo romanzo, che nelle acque agitate del vivere perseguono quella sorta di pacificazione di cui parlavamo in precedenza, ma che nella maturità possono arrivare a comprendere che non sempre quel senso tanto prezioso si può svelare al nostro sguardo, e se pure arriverà a farlo, non necessariamente i nostri occhi bisognosi e speranzosi saranno in grado di interpretarlo e comprenderlo. Maturità dunque uguale a fede? Fidarsi anche di ciò che non conosciamo e capiamo? Difficile e sofferta, certo, ma forse è proprio questa la nostra salvezza.

Il perdono si fa primario nella visione pietosa di un’umanità precaria.

L’autore ci sorprende e commuove con una prova straordinaria, per sensibilità e originalità. Raro, se non unico, il pregio di saper presentare la faccia tragica dell’esistere con una prosa lirica e quasi romantica, mitigando il peggiore dei mali con un disincanto che da disperato si fa via via più dignitoso, fin quasi ad abbracciare un perdono, per se stessi e per gli altri, razionalmente impensabile, ma addirittura necessario negli umani travagli affettivi. Il tema del perdono si fa alla fine primario, e partendo dalla pietosa visione di un’umanità fallace e malinconicamente precaria e annaspante, la colpa è sminuita fino a evaporare, come la marachella del bambino che, irresponsabile per il suo inesperto agire nel mondo, può meritarsi solo un rimprovero indulgente ma mai il marchio della colpa… I personaggi raccontano la tragedia dai loro diversi punti di vista, ma il dolore è così immane, sia per vittima che per carnefice, che fuori posto è la censura, rimane lo smarrimento del rammarico, della nostalgia e della compassione per se stessi e per gli altri:

Sapere che cosa pesava sul dolore di June l’aveva fatta sentire di nuovo vicina a lei. Lydia sa com’è prendersi la responsabilità di una disgrazia. Sa com’è vivere col rimpianto. June non reagisce a niente di quello che dice Lydia ma quando ha finito di parlare avvicina lentamente al viso la mano di Lydia. June tende le dita e preme il palmo contro la sua guancia. Copre la mano di Lydia con tutte e due le sue e preme, subito piano, poi più forte. Nel farlo il suo busto e la testa scivolano verso il basso, le gambe le si piegano indietro sul letto, la testa e le spalle riposano nel grembo di Lydia. Il respiro di June rallenta, il corpo si abbandona, e dopo un po’ è addormentata…

Luca

 

 

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paginerecensioni-vita-in-fumo-colpa-perdono-copertinaMai avuto una famiglia
Bill Clegg
Editore: Bompiani
Anno 2016
Pagine 242|brossura
€18,00
ISBN9788845281495

 

 

La trama.

Tutto ciò che June ha di più caro le viene strappato da uno spaventoso incidente a cui lei sola sopravvive, casa e famiglia distrutte. Le decorazioni di fiori pronte per la festa di nozze della figlia diventano corone, l’aspettativa per il gioioso inizio si fa lutto, il futuro si trasforma in un passato ingombrante e doloroso. June volta le spalle a tutto e fugge. Si fermerà solo sulla riva dell’oceano, alla fine di un viaggio alla cieca che la condurrà nel luogo in cui una giovane coppia si è promessa felicità e un’altra coppia la felicità se l’è presa e coltivata nella vita di ogni giorno. Proprio come quella di June, tutte le voci di questo romanzo parlano di verità da disseppellire e perdite con cui convivere. È una storia che parte dall’epilogo e poi procede a ritroso nel tempo, seguendo i fili di ciascun racconto, per arrivare ai nodi, all’essenza complicata di tutto il dolore del mondo, e del suo lenimento attraverso il perdono.

 

L’autore.

Agente americano, Bill Clegg è il discusso autore dei memoir Ritratto di Un Tossico da Giovane (Einaudi 2011) e 90 Giorni (Il Saggiatore 2013). Il suo primo romanzo, Mai Avuto Una Famiglia è stato selezionato per il National Book Award, Il Man Booker Prize, la Andrew Carnegie Medal, definito unanimemente uno dei migliori libri del 2015.