Verità e speranza su disagio sociale, follia e diversità

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Verità e Speranza su Disagio Sociale, Follia e Diversità – La Prima Verità – di Simona Vinci.

 

La Prima Verità di Simona Vinci, Premio Campiello 2016, non è un romanzo né un saggio, non si può definire una biografia né un testo tecnico o scientifico, essendo tutte queste cose insieme e molto di più; l’unico modo per parlarne è pensare a un fiume, che si trascina dietro, nelle sue acque turbinose, una moltitudine di temi, dati di fatto e pensieri, una corrente che strappa il lettore dagli argini di una quotidianità un po’ sonnolenta, a volte anche un poco ottusa nell’incapacità di scorgere l’orrore, o il semplice disagio di cui il mondo e l’esistere sono permeati. Questo libro non si può costringere nei limiti di una classificazione, come si è fatto per migliaia di disperati, abbandonati e dimenticati, costretti nel perimetro di un istituto psichiatrico, che da queste pagine riprendono vita, o almeno, l’appena sfumata sostanza dei fantasmi, che il muto ricordo rende immortali e non obliati.

La negazione del diverso.

Il numero del 10 Settembre 1989 del settimanale The Observer, scatenava lo scandalo Leros: il mondo scopriva che su di una piccola isola greca, tra le mura screpolate di un manicomio lager, erano stati segregati e perduti per decenni migliaia di malati psichici, ma anche oppositori politici al regime dei colonnelli degli anni ‘60, o semplicemente gente comune non voluta, non amata e abbandonata a se stessa.
E allora sì, è romanzo perché da questa vicenda reale, e traendo spunto dal rischioso reportage fotografico di un’allora giovane giornalista, Antonella Pizzamiglio, la Vinci costruisce una storia terribile e commovente sul disagio di vivere, su questo mondo a parte, parallelo, scuotendoci e turbandoci con l’umanità negata di uomini, donne, bambini senza nome o identità alcuna, privati di quell’unico bene che rende un essere, “umano”: la dignità. Ci sentiremo allora partecipi ma impotenti di fronte all’ostinato mutismo di Nikolaos, il bambino col sasso in bocca e poi uomo segregato dietro un muro nell’assurdo tentativo di ridurlo ad un silenzio ancora più assordante di quello in cui già è sprofondato. Ci vergogneremo al cospetto di Teresa, vittima della prevaricazione maschile sempre e comunque, sia nel mondo cosiddetto “normale” che in quello “a parte” di quell’inferno; e stringeremo inutilmente i denti insieme a Stefanos, il poeta dissidente, che riversando i propri versi su rimasugli di carta o tessuto, poi nascosti dalle piccole mani di un bambino muto, proverà ad affidare alla sua arte la sua umanità sbeffeggiata e sminuita.

L’autrice e il disagio visto da dentro.

Allora è saggio e biografia, anche, perché sulla finzione pur tanto realistica, si innesta poi la vicenda personale dell’autrice, che tanto ha avuto a che fare col disagio mentale, annidato nell’esile corpo anoressico della madre, o nelle stravaganze dei “mattucchini”, ospiti di due istituti di Budrio, il paese di una Vinci bambina. La prosa di questa scrittrice scivola pacata e modesta, eppure capace di un lirismo che nasce dalla sostanza e non dall’apparenza, in grado di raccontare l’orrore senza l’enfasi che dovrebbe renderlo straordinario, ed è questa la magia, perché l’emarginazione e la perdita di sé esistono da sempre e non c’è nulla di straordinario o nuovo nella paura che l’uomo ha del diverso, dello strano, né nella naturale quanto superficiale ed inclemente conseguenza dell’allontanarlo, ghettizzarlo e rinchiuderlo tra quattro mura di dimenticanza.
L’autrice racconta impavida quel malessere oscuro, il disagio di vivere che anche in lei da adulta si è fatto, ad un certo punto, strada, e ci conduce, come fossimo con lei sul divano del terapeuta a cui si era rivolta, alla conclusione che da sempre abbiamo sotto gli occhi ma che spesso non riusciamo a vedere, e cioè che non c’è un modo di essere normali:

“Su quel divano che mi costava ottanta euro ogni tre quarti d’ora, tutto quello che volevo sentirmi dire era: puoi essere normale. E invece niente. Si diventa ciò che si è destinati a diventare, volenti o nolenti, e ogni vita si accomoda bene o male sul terreno sopra il quale riesce ad attecchire, a volte si tratta di un pascolo verde, altre volte di un deserto sassoso, ma non è detto che la mucca al pascolo sia più felice della iena affamata.”

Siamo case di colori diversi, costruite su terreni solidi o più friabili e melmosi, non saremo mai identici e non c’è un tribunale superiore che può stabilire di quanto si può scostare il colore delle pareti della nostra interiorità da quello più comune e diffuso, prima di decidere che non valiamo più il tentativo di vivere una vita piena e dignitosa, pur con le nostre paurose fragilità e lacune.

La diversità possibile.

Con la deistituzionalizzazione del lager di Leros, tante storie e anime perse sono tornate ad un’esistenza difficile, modesta e sofferta, ma pur sempre un esistere. Dall’inizio dei tempi, quando il gioco si fa duro siamo sempre pronti a mollare, perché non ne vale la pena… Ma forse, alla fine, l’emozione senza voce di vedere ancora il sorriso sul volto invecchiato e segnato di qualcuno che si era marchiato come perduto, può bastare per sapere che, dopotutto, se si tratta di vita, qualunque vita, ne vale sempre la pena…
Leggere questo libro è come un viaggio, un’esperienza in parte anche coraggiosa, perché se può essere agevole affrontare la “diversità” al sicuro della certezza di non appartenerle, ben diverso è l’aprirsi e l’ardire di mettersi in discussione, come ha fatto Simona Vinci in quest’opera straordinaria, non prendendo affatto le distanze dalla materia instabile del suo lavoro, bensì calandocisi completamente e divenendone lei stessa una parte preziosa, pulsante di meraviglia per l’indefessa ostinazione di questa piccola vita che, pur mortificata e claudicante, si rifiuta di smorzare la propria fievole luce, e soccombere alla morte e alla sua notte.

Le pietre, l’erba, le nuvole
sono cose che si dimenticano.
Quando arriva la sera e il viola profondo che trema,
noi impariamo di nuovo,
e anche se dietro il filo spinato
è la vita che accade.

Luca

 

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COMPRALO SUBITO 

la-prima-verita-compralo-subitoLa prima verità
Simona Vinci
Editore: Einaudi (Stile libero Big)
Lingua: Italiano | Numero di pagine: 408
ISBN 9788806212681 | €20,00

 

 

 

Trama.

Angela, giovane ricercatrice italiana, nel 1992 sbarca sull’isola di Leros con molti colleghi europei, per prendersi cura delle vittime dell’orrore, da pochi anni rivelato dalla stampa britannica, del «segreto d’Europa»: un’isola-manicomio dove un regime dittatoriale aveva deportato gli oppositori politici della Grecia, facendoli convivere con i malati di mente. Chi non è morto si è ormai trasformato in un relitto umano. Chi è Basil, il Monaco, e la schiva e tenace Lina, che sembra avere un rapporto privilegiato con l’isola? Ogni mistero avrà risposta nelle storie dei dimenticati e degli sconfitti, storie di tragica bellezza, come quella di Teresa, o del poeta Stefanos,  e del bambino con il sasso in bocca. Il titolo, tratto da un verso di Ghiannis Ritsos, allude a una verità assoluta oltre le vicende del libro, che si svolgono in tempi e luoghi diversi, e con i personaggi dimenticati e poi svelati che via via ci presenta, Simona Vinci torna finalmente al romanzo con esiti mai raggiunti prima.

 

L’autrice.

Simona Vinci, nata a Milano nel 1970, vive a Bologna.  Dei bambini non si sa niente (ultima edizione Einaudi Stile libero, 2009) è il suo primo romanzo e ha riscosso un notevole successo. Divenuto un caso letterario, è stato tradotto in molti paesi, tra i quali gli Stati Uniti. Sempre per Einaudi si ricorda la raccolta di racconti In tutti i sensi come l’amore (Stile libero, 1999) e i romanzi Come prima delle madri (Supercoralli, 2003 ed Einaudi Tascabili, 2004), Brother and Sister (Stile libero, 2004), Stanza 411 (Stile libero Big, 2006), Strada Provinciale Tre (Stile libero Big, 2007) e La prima verità (Stile libero Big, 2016). Di letteratura per ragazzi ha pubblicato Corri, Matilda (E.Elle, 1998) e Matildacity (Adnkronos Libri, 1998).  Nell’antologia Le ragazze che dovresti conoscere (Stile libero Big, 2004) ha scritto il racconto La più piccola cosa. Nel 2010 ha collaborato alla raccolta Sei fuori posto (Einaudi, Stile libero Big).

 

6 thoughts on “Verità e speranza su disagio sociale, follia e diversità

  1. Insomma, un libro scomodo… e proprio per questo da leggere! Ogni tanto una sana immersione nei drammi dell’umanità non può che far bene… giusto per non perdere il contatto con la fragile realtà di noi esseri umani…

    1. E’ vero, la vita contemporanea dell’occidentale medio è costruita un po’ come una scatola preconfezionata, impegni, interessi, ancora impegni… E diventa difficile anche mettere fuori la testa da quella scatola così rassicurante. Coraggio!

    1. Sì è un libro complesso, duro, che costringe a pensare; una lettrice di qualità come te non se lo perde… Grazie Anna, troppo buona.

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