Vittime per sempre; patria e rimpianti.

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Vittime Per Sempre; Patria e Rimpianti – Patria – di Fernando Aramburu.

Con Patria, Fernando Aramburu ci consegna un libro meraviglioso, l’opera di una vita, un romanzo d’amore e sofferenza, di errori ed espiazione, un saggio storico e sociologico, ma soprattutto, un libro sulla malinconia, sulle scelte sbagliate che allontanano dalla meraviglia della vita, portando alla distruzione e alla sofferenza degli altri e di noi stessi. Vincitore di diversi premi, tra cui quello della Critica 2017, Patria è una storia di vite, molte vite innocenti e libere che si intrecciano e si corrompono, vittime dell’errore più umano e antico della storia, quello di abbracciare l’unica strada che annienta e non risolve mai: la violenza. Profondamente veri e vivi, l’intreccio come i personaggi rimangono nel cuore e nella mente, a lungo, e ci fanno meditare e commuovere, sul peso immane che lo scegliere di ignorare la vita che ci sta di fronte, e la sua importanza, ci carica sulle spalle e sul cuore, sfibrandoci e rubandoci ogni speranza nel futuro, costretti a voltarci indietro, continuamente, attratti dal demone del se, del se non avessi, consapevoli di perderci, ogni giorno di più, nell’oblio di una parola che suona più o meno così..: rimpianto.

Cultura dell’odio che si fa consuetudine e giustificazione alla violenza.

Patria è la storia di due famiglie di San Sebastian, un paesino di quei Paesi Baschi che spesso, negli anni Settanta, venivano accostati agli atroci attentati terroristici dell’ETA. Joxian il semplice, amante dell’orto e della bicicletta, e il Txaco, il suo amico del cuore, così diverso, così energico e brillante, sono inseparabili nonostante le diversità. Le mogli Miren e Bittori sono molto amiche, e i figli crescono frequentandosi, tra un bacio adolescenziale e confidenze impronunciabili tra ragazze; nessuno può immaginare che una vita comune così armonica, così naturale, possa improvvisamente evaporare, sotto i colpi di un’arma da fuoco. Il Txaco viene preso di mira dall’ETA perché la sua impresa di trasporti è sinonimo di ricchezza e la ricchezza deve contribuire alla causa indipendentista. Pagare non basta però, perché chi ammette la violenza come mezzo, non riconosce limiti alle pretese, non vede l’uomo ma solo la sua utilità; e la mancanza di utilità, alla fine, viene punita. La tragedia apre una crepa immediata e crudele tra le due famiglie, l’affetto, i ricordi condivisi, il rispetto e la riconoscenza, tutto sparisce dinnanzi alla paura di apparire complici di chi non si è dimostrato Abertzale, patriota, sostenitore di una patria basca indipendente. Ma soprattutto, la paura più grande è quella di ammettere a se stessi di non avere il coraggio, di aver voltato le spalle a chi si aspettava sostegno e vicinanza; e così il rancore si fa protezione da quella colpa che non si vuole ammettere, per questo le vittime danno così fastidio, che se ne vadano, lontano dagli occhi e dalla coscienza.

Perché sono un vigliacco come tanti altri che al mio paese staranno dicendo a bassa voce per non farsi sentire: questa è una bestialità, un inutile spargimento di sangue, così non si costruisce una patria. Però nessuno muoverà un dito. A quest’ora avranno già ripulito la strada con una pompa, perché non resti traccia del delitto. E domani ci saranno mormorii nell’aria, però in fondo tutto continuerà come prima. La gente andrà alla prossima manifestazione dell’ETA, sapendo che conviene farsi vedere nel branco. E’ il tributo che si paga per vivere tranquilli nel paese dei muti.

Bittori se ne va dal paese, i figli già l’hanno fatto, ma lei non mollerà, non rinuncerà a farsi chiedere quel perdono, quella riconciliazione così necessaria a se stessa, e atto d’amore e giustizia nei confronti del marito.

Il rimpianto, unico premio agli ideali perseguiti con la violenza.

Patria ci trasporta in un mondo che in pochi conoscono veramente, quello della vita di un popolo che non accetta un’identità imposta, che ne persegue un’altra, con le buone, ma, aimè, anche le cattive, e colpisce come tanta gente normale, che vive, lavora, insegna ai propri figli il rispetto e l’amore per la vita, tolleri e addirittura a volte incoraggi la strada della violenza e della prevaricazione per raggiungere una presunta libertà che invece svanisce sotto i loro occhi nel momento in cui va a limitare quella degli altri, la libertà di vivere, di amare, di avere un futuro e delle speranze. L’incapacità di pensare al dopo, alle conseguenze, è sempre stato il più grande limite dell’uomo: dai campi di concentramento al furto di una gomma alla scuola elementare, l’agire per poi voltarsi indietro, il rimpianto che nasce postumo sulle macerie di un crimine la cui colpa ci impedisce di godere dei risultati raggiunti, certo ottenuti, finalmente, ma in che modo, con quali tragiche e atroci conseguenze? Joxian è il figlio di Miren, il ragazzino intrattabile e scapestrato che crescendo ha fatto sua la causa, chiuso in carcere da anni, è colui al quale oggi Bittori scrive, per ottenere quella richiesta di un perdono che il ragazzo non vuole chiedere, perché significherebbe che la sua vita di rischi e sofferenze, la sua infanzia negata dalla lotta abbracciata così presto, le ragazze, le gioie, le amicizie mai avute, tutte le rinunce sarebbero state vane e la sofferenza sua e causata agli altri, sue vittime,  si cristallizzerebbe ai suoi occhi e alla sua coscienza come un errore, tragico, immane e desolante errore. Eccolo, chiuso in cella, dopo diciassette anni:

Un uomo può essere una nave con lo scafo d’acciaio. Poi passano gli anni, di lì passa l’acqua della nostalgia, contaminata di solitudine, e l’acqua della consapevolezza di essersi sbagliato e di non poter rimediare all’errore, e quell’acqua che corrode tanto, quella del pentimento che si sente e non si dice per paura, per vergogna, per non fare brutta figura con i compagni di lotta. E così l’uomo, ormai nave incrinata, andrà a picco da un momento all’altro.

Gli assassini, gli assassinati e chi rimane, tutti ugualmente vittime del terrorismo.

E vittime sono anche i parenti, costretti a continuare a vivere delle mezze esistenze, con la mente, i ricordi e il cuore rivolti indietro a coloro che hanno perduto e alla vita che con loro sarebbe stata diversa. Sono vite contenute, spesso limitate alla sopravvivenza, ancorate a quel posto vuoto che un’affettività lacerata tenta di sopportare e riempire grazie ad una quotidianità monotona e incolore. E allora ci si nega piaceri e aspettative a cui i cari perduti non potranno più ambire; è una sorta di rispetto inconscio, un’affettuosa vicinanza a chi non c’è più, una corresponsione di umani sensi nella condivisione della medesima sventura, che si sia ancora vivi oppure no. Vite interrotte dunque, immobilizzate anche dal senso di colpa per quell’esserci ancora, forse immeritato. Questa sorta di pudica vergogna del sopravvissuto si radicalizza in Xabier, il figlio maggiore di Bittori, che rinuncerà a ciò che ha di più bello a causa dell’ormai profonda incapacità di godere della vita e delle sue gioie; con un episodio da niente, Aramburu ce lo fa comprendere con disarmante naturalezza:

Sbucciò facilmente la prima castagna. Buonissima. Al punto giusto, né dura né bruciata. E il piacevole calore che gli si sparse nella bocca addensava il vapore del suo respiro. Anche la seconda castagna, molto buona. Troppo buona. Si alzò in piedi. Rovesciò il cartoccio quasi pieno in un cestino, cosicché le castagne caddero a una a una sui rifiuti accumulati all’interno. Poi prese a camminare verso l’Avenida, confuso tra la gente.

Patria è un racconto intimo e dolente sull’amore famigliare e la perdita, sull’amicizia e i suoi limiti, sul coraggio di perseguire le proprie convinzioni e su quello, ancora più grande, di farlo senza zittire la propria umanità e la propria empatia, col fracasso degli slogan vigliacchi per cui il fine giustifica, aimè, qualunque mezzo. E’ un libro che ci parla di tradimento e abbandono, ma anche della necessità di trovare una pace, alla fine di tanto dolore, nell’imprescindibilità della riconciliazione. Indimenticabile.

Luca

 

 

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paginerecensioni-vittime-sempre-patria-copertinaPatria
Fernando Aramburu
Editore: Guanda
Anno 2017
Pagine 640|brossura
€19,00
ISBN9788823519107

 

 

La trama.

Erano due famiglie molto legate, quelle di Joxian e del Txato, nel paesino alle porte di San Sebastián, vicini di casa, inseparabili nelle serate all’osteria e nelle domeniche in bicicletta; anche le mogli, Miren e Bittori, erano molto amiche, così come i loro figli, compagni di giochi e di studi tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma poi un evento tragico ha aperto un abisso nelle loro vite, spezzate per sempre in un prima e un dopo: il Txato, con la sua impresa di trasporti, è stato preso di mira dall’ETA, e dopo una serie di messaggi intimidatori a cui ha rifiutato di piegarsi, è caduto vittima di un attentato. Bittori se n’è andata, non riuscendo più a vivere nel posto in cui le hanno ammazzato il marito, un posto in cui le vittime danno fastidio. Anche a quelli che un tempo si proclamavano amici. Anche a quei vicini di casa che sono forse i parenti di un assassino. Passa il tempo, ma Bittori non rinuncia a pretendere la verità e a farsi chiedere perdono, a cercare la via verso una riconciliazione necessaria non solo per lei, ma per tutte le persone coinvolte, vittime e carnefici.

 

L’autore.

Fernando Aramburu, è nato a San Sebastián nel 1959, ha studiato Filologia ispanica all’Università di Saragozza e negli anni Novanta si è trasferito in Germania dove ha cominciato a insegnare spagnolo. Dal 2009 si è dedicato interamente alla scrittura e alle collaborazioni giornalistiche. Ha pubblicato romanzi e raccolte di racconti tradotti in diverse lingue che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti. Patria (Guanda, 2017), uscito in Spagna nel settembre 2016, ha avuto un successo enorme e un vastissimo consenso, conquistando, fra gli altri, il Premio de la Critica 2017. In Italia ha pubblicato Vita di un pidocchio chiamato Mattia (Salani, 2008), I pesci dell’amarezza (La Nuova Frontiera, 2007), Il trombettista dell’utopia (La Nuova Frontiera, 2005).