Folle possessività; resina, una favola nera

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Folle Possessività; una Favola Nera – Resina – di Ane Riel.

Ane Riel nasce come autrice di storie per bambini, ed è forse questa la particolarità che l’ha resa unica nel panorama internazionale, vincitrice con Resina di numerosi premi prestigiosi, romanzo poi opzionato per il cinema nientemeno che dal controverso regista Lars von Trier. Perché, dicevamo, i suoi trascorsi letterari l’hanno resa così particolare nel mondo del romanzo maturo? Ebbene, perché in Resina stupisce per la fluidità della scrittura, per la facilità con cui illustra concetti e pensieri anche complessi, disvela l’essenza stessa dell’uomo, fatta di paura, possessività e perdita, speranza e rassegnazione, raccontandola come se fosse una fiaba, attraverso i pensieri innocenti e inconsapevoli di una bambina. E proprio come una favola, una favola nera, Ane Riel trasporta il lettore nei luoghi più reconditi della natura umana, nelle sue pieghe più nascoste che corrompono ed esasperano persino la sua parte migliore, i sentimenti, non ultimo l’amore, che da dono può farsi prigione, malata e spaventosa prevaricazione.

Una vita da fiaba che diviene favola nera su malattia e possessività.

Liv viveva sull’isola con l’amato padre Jens e la bellissima madre Maria, e col fratellino Carl, prima dell’incidente che glielo avrebbe strappato per sempre… Ma per una bambina la realtà si può piegare ai sentimenti e allora, a differenza dei grandi, lei Carl lo vede ancora, ci parla e si confida, dentro a quel container dove si devono nascondere nel caso che sopraggiunga qualche estraneo: lei, infatti, dovrebbe essere morta, annegata nel mare; è necessario che il piano del padre funzioni, altrimenti la gente dell’isola, gli estranei, verrebbero a portarla via, per mandarla a scuola. Così come il mondo gli ha sottratto il padre e il fratello, Jens perderebbe anche l’amata figlia, quei maledetti gli ruberebbero tutti gli oggetti che negli anni ha pensato di accumulare nel cortile, e poi dietro la casa, dentro l’edificio, fin sulle scale, quella montagna di vita inanimata che addossata alle finestre si oppone ai raggi del sole… E chissà, forse potrebbero portargli via persino la moglie una volta bellissima, riuscendo in qualche modo ingegnoso a far passare il suo ormai enorme corpo dalla porta della camera da letto, quel corpo gonfio del suo amore, che lui ha lasciato crescere a dismisura per tenerselo vicino, conservato e immobile, come un insetto nella resina.

Quando la fedeltà dei figli ai genitori diviene prigione e perdizione.

Con un contenuto delicato e tremendamente sensibile, Resina è narrato mediante i canoni della fiaba che ne attenuano la portata emotivamente destabilizzante, attraverso la voce di una bambina, la cui naturale innocenza rivela come l’aver sempre vissuto una vita distopica fatta di furti, isolamento e rapporti affettivi morbosi e malati, renda l’assurdo accettabile, in mancanza di un confronto con una realtà diversa e virtuosa. I bambini possiedono risorse inimmaginabili per sopravvivere, riescono a piegare la solitudine come Liv col fratellino perduto, possono trovare normale l’assassinio, se la voce affettuosa e pacata del padre lo dipinge come un atto naturale di liberazione, spiegando che se commesso col favore delle tenebre non sarà nemmeno doloroso. I più piccoli sono come l’argilla, si possono plasmare facilmente, e come già trattato ampiamente nella recensione al libro di Delphine de Vigan, Le Fedeltà Invisibili, gli strumenti per plasmarli sono i sentimenti, l’amore, quell’affetto che un genitore riversa sul figlio catturandone irrimediabilmente la fedeltà, fino alla fine, fin nell’abisso. Ma per Liv e per tutti i minori c’è pur sempre una speranza, perché un sentimento giusto, naturale e senza macchia, prevale sempre su un’emozione distopica e aberrante, basta poterli confrontare per poter forse salvare il cuore di un bambino:

Qualcosa in me desiderava che quell’uomo avesse degli occhi cattivi. Ma i suoi occhi non erano cattivi, né in quel momento né quando era appeso sotto la mietitrebbia. Non riuscivo a fare a meno di pensare al cane e alla trappola e al fatto che quell’uomo aveva pianto quando aveva visto il cane. Gli occhi cattivi mica piangono…

Il disturbo da accumulo e la possessività affettiva, quale perverso antidoto alla perdita.

Resina è una piccola storia che racchiude in sé l’immenso corpo dell’umana bassezza e meraviglia; il mistero della vita viene affrontato attraverso le vicissitudini dell’anima di Jens, un uomo comune ma gentile e sensibile, forse troppo, che nel lutto trova un nemico da combattere, invece che la maturità di comprendere ed accettare le stagioni della vita e le sue sfumature gioiose e dolorose. La perdita per Jens incarna il mostruoso nemico, e da qui la sua esistenza e quella di chi gli sta intorno divengono una guerra, una corsa ad arroccarsi, isolandosi da qualunque ipotetico pericolo, compresi gli altri esseri umani. La possessività diviene brama, l’unica rassicurazione per un’anima spaventata e sempre più destabilizzata dall’impossibilità di avere tutto sotto controllo; gli oggetti, inutili e necessari al tempo stesso, divengono montagne e poi mura di una prigione che dovrebbe proteggerlo e conservare al suo interno i suoi affetti, coloro che invece il suo amore non ha per nulla protetto bensì reso compagni di sventura, sulla scialuppa ormai fradicia e allagata che presto affonderà, trascinandoli nell’abisso, verso quell’oblio inevitabile ma pacificatore, unico sollievo, forse, a quella famelica e inarrestabile piaga che è la paura.

Inquietudine e magia per una piccola favola nera, capace di far riflettere su quanto sia facile perdere il filo e il senso in un’esistenza complicata e a volte impietosa, in cui spesso è solo l’accettazione a poterci salvare, e non l’ostinazione di dichiarare guerra agli eventi e al mondo intero. Basta poco a volte, per trovare la via, basta guardarla con gli occhi di un bambino per capire se è una via cattiva… Lettura appassionante e rivelatrice, Resina sorprende e ammalia.

Luca

 

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paginerecensioni-possessivita-resina-copertinaResina
Ane Riel
Editore Guanda
Anno 2019
pagine 294|Brossura
€18,00
EAN 9788823517790

 

 

La trama.

Liv è morta a sei anni. Si è allontanata in mare durante la notte e al mattino è stata ritrovata solo la barca vuota. O almeno, questa è la storia che i suoi genitori hanno raccontato alle autorità. Ma la realtà è ben diversa. Liv è viva, si nasconde dietro un impenetrabile muro di oggetti rubati qua e là e accumulati da Jens, suo padre, nel corso degli anni: infatti, ciò che gli altri considerano superfluo, un rifiuto da buttare, per Jens è importante, degno di una seconda vita. Impossibile, anche volendo, scovare la bambina in quel fortino; impossibile, una volta oltrepassato il cancello, uscire indenni dalle trappole seminate in cortile, lungo il percorso che porta alla casa e all’officina, alla stalla e al piccolo container che racchiude tanti segreti. Qui, lontano dagli altri abitanti dell’isola, la vita della famiglia scorre imperturbabile, cristallizzata per l’eternità come una formica nella resina. Soltanto Maria, la madre di Liv, potrebbe rompere l’incantesimo. Ma anche lei, a modo suo, ha deciso di nascondersi dal resto del mondo dentro un corpo mostruosamente grasso…

 

L’autrice.

Nata Ane Brahms Lauritsen nel 1971 ad Aarhus dopo il diploma ottenuto nel 1990 al Marselisborg Gymnasium, ha studiato arte all’Università di Aarhus senza completare gli studi.
Trasferitasi venticinquenne a Copenaghen, ha lavorato per nove anni allo Storm P. Museum e parallelamente ha pubblicato alcuni libri per l’infanzia con i disegni della madre, l’illustratrice Mette Brahms Lauritsen.
Con il suo primo romanzo, Slagteren i Liseleje, ha vinto il Best Danish Suspense Debut Novel nel 2013, mentre il thriller Resina è stato insignito del Glasnyckeln nel 2016 e del Martin Beck Award l’anno successivo.