La discriminazione femminile oggi e nella storia; Di Sabbia e Di Vento

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La Discriminazione Femminile Oggi e Nella Storia – Di Sabbia e di Vento – di Teatro in Mostra.

 

Paginerecensioni recensisce letteratura, lo sappiamo, ma quando un tipo diverso di rappresentazione racconta una o più storie con inspirata maestria, allora la tentazione è forte, e irresistibile è il richiamo della pagina; Teatro in Mostra, la compagnia teatrale di Laura Negretti, ha messo in scena con rara personalità una storia universale di discriminazione ed ingiustizia, ma anche di eroica lotta, di resilienza dignitosa contro il sopruso che annulla fisicamente e moralmente. La discriminazione di genere, la prevaricazione fisica e psicologica sul lato femminile del mondo e dell’umano, è un crimine di cui l’uomo, il “maschio”, si è reso colpevole nei secoli e nella storia, una storia che purtroppo continua nella modernità dei nostri giorni. Di Sabbia e Di Vento racconta la verità che spesso si nasconde nelle pieghe di una quotidianità sonnacchiosa, un’anomalia che l’abitudine ha reso sovente invisibile anche agli sguardi apparentemente più illuminati e colti, perché la tentazione di prevaricare e svilire chi ha meno strumenti, ma non certo meno talenti, è un’abitudine che viene da lontano, e si perde nelle pieghe del tempo… Ed è da quelle pieghe remote della storia che prende il via il racconto meraviglioso e struggente Di Sabbia e Di Vento, sgorgato dalla penna di Marco Filatori, per la regia ispirata di Luca Ligato, e interpretato dalla straripante e a tratti commovente Laura Negretti, e da un convincente Alessandro Baito, nel suo doppio ruolo di spietato carnefice e di complice restio, pavido salvatore mancato.

Una scenografia diabolicamente essenziale per mettere a fuoco il tema, senza distrazioni.

La scenografia volutamente scarna di Armando Vairo, è diabolicamente essenziale, ed apre lo spettacolo rendendo chiaro allo spettatore che l’anima di questa storia non potrà sfuggire o perdersi tra distrazioni inutili e condimenti inappropriati: una gabbia e due umani, uomo e donna, carnefice e vittima, un piatto aspro ed indigesto che va inghiottito dall’inizio alla fine e che anzi, è impossibile lasciare a metà, perché una disperata fame di sapere e di mettersi in gioco, prendendosi le proprie responsabilità, coglie chi osserva confuso prima, con sgomento poi, con commossa e disperata partecipazione dopo. I due attori si muovono sul palco come le onde della storia, inseguendosi l’un l’altra come uomo e donna da sempre si sono amati e odiati, ma soprattutto, come la donna, spesso, ha più amato e meno contato… I costumi bianchi sembrano evocare un’aspirazione all’innocenza, perduta o mai raggiunta, un’equiparazione dei due sessi disattesa dalla realtà dei fatti, così come gli attrezzi di scena, gabbia, ferro, corda, richiamano la crudezza di uno stato di oppressione e costrizione che da sempre rende il talento femminile ingabbiato e le aspirazioni frustrate. Tutto in questo spettacolo è essenziale e dunque imprescindibile, il gioco di luci è l’interruttore che chiude un’epoca e ne apre un’altra, sul filo della sventura condivisa che unisce Giovanna a Camille, lontane secoli e di un nulla al tempo stesso, accomunate dal desiderio di vivere appieno una grandezza interiore, esteriormente osteggiata ed umiliata.

Giovanna d’Arco e Camille Claudel, volti eroici e disperati della lotta per cambiare, quando nulla e nessuno vuole davvero che accada.

La storia ci parla di Giovanna, anzi è la Pulzella d’Orleans che ci parla dal palco con voce disperata ma orgogliosa, sicura e convinta di quello che sente dentro e in cui crede; parla e attraverso la voce denuda se stessa, il suo io negato da quell’interlocutore maschio che la opprime ma anche giudica la sua ribellione, la sua pretesa di essere accettata e considerata al di là della sua fisicità e sessualità. L’eroismo da sempre sta nel non indietreggiare davanti all’ineluttabile, nel non rinunciare al sacrificio, nonostante l’inutilità apparente e la certezza della sconfitta. La resilienza femminile è dunque eroismo, è ciò che si contrappone alla prevaricazione consapevole, o semplicemente comoda e complice, dell’uomo, che ne esce sminuito persino nella forza del suo imporsi, una forza fine a se stessa che non riesce a portare argomentazioni valide ma semplicemente svilisce quelle infuocate della prigioniera, dileggiandole con grugniti parossistici del prelato giudicante, con i quali il poliedrico Alessandro Baito, che magistralmente lo interpreta, riesce persino a suscitare ilarità in un pubblico così coinvolto da sentirsi subito in colpa per il suo indulgere in tale debolezza. Dicevamo che la prima conseguenza dell’impavida resilienza femminile è il rimpicciolimento, quasi fisico, dell’uomo, che esce sminuito principalmente dall’incapacità di stare sullo stesso piano della donna, sostenendo e contrastando le sue argomentazioni; la prevaricazione maschile sta proprio nel negare lo stesso gradino alla compagna che da sempre deve guardargli le spalle, essere sostegno e non guida, essere complice ma non leader, necessaria ma su un gradino più basso. Questa inconsistenza e debolezza maschile emerge lampante, con modalità diverse, quando Di Sabbia e Di Vento, saltando in avanti di qualche secolo, ci coinvolge nell’entusiasmo vitale di Camille Claudel, donna bellissima e dalla personalità debordante ma scomoda, artista sopraffina e pure lei annientata dalla propria ambizione, dal voler condividere lo stesso gradino con l’amato Rodin, grande scultore di cui si dirà, in seguito, che avrà copiato opere e idee della sua protetta. L’ambizione, la vitalità di Camille avrà come premio l’abbandono, da parte dell’amato, ma soprattutto della famiglia, della madre, e di quel fratello che tanto l’amava, il celebre drammaturgo cattolico Paul Claudel… Ed è proprio Paul ad incarnare perfettamente la pochezza maschile, l’incapacità di spezzare le consuetudini che sviliscono coloro che amiamo, la dimostrazione di come anche una mente illuminata e colta possa essere incapace di fare un passo coraggioso verso una giustizia che lo status quo non accetta. Camille vivrà sola e consumata, nello spirito e nella mente, in un manicomio, sperando inutilmente che l’amore del fratello le restituisca quella luce interiore che un mondo maschile e prepotente le ha negato.

Parole e contenuti che una fisicità prepotente rende concreti sul palco.

E’ dunque la parola, la protagonista di questo riuscitissimo lavoro teatrale sulla discriminazione femminile, un fiume di parole impossibile da ricordare che sgorga dalla bocca dei due attori, dal cuore di due donne distanti nel tempo ma ugualmente eroiche e ugualmente vittime, e degli aguzzini che le temevano pur amandole. I dialoghi e i monologhi vibrano nella voce ora scanzonata ora intimidita di Alessandro Baito, e in quella intensa e tragicamente rotta di Laura Negretti, la cui interpretazione atterrisce e incanta, commuove e sconvolge, tanta è la grazia che riesce a far emergere nella nitidezza dei sentimenti comunicati, di rabbia, di indomita combattività, di ingenua quanto eroica, mai doma ed insensata, speranza. Ma è anche attraverso i movimenti ripetitivi e un po’ meccanici degli arti, che i personaggi comunicano la stasi di un’ingiustizia abitudinaria in una società che non vuole cambiare, nonostante quel fiume di parole e istanze e speranze e passione e ricordi e commozione e amore e preghiere e talento e speranza… Sempre lei, la speranza, insondabile mistero che porta l’essere umano ad ambire a qualcosa di più, qualcosa di grande e giusto che immancabilmente qualcuno vuole negare…

Un teatro sperimentale riuscito, che coniuga istanze, recitazioni ispirate ed effetti scenografici evocativi.

Di sabbia e Di Vento è un’opera struggente e innovativa, oserei dire sperimentale; usa gli strumenti scenografici come personaggi chiave, le luci e la musica come macchine del tempo che conducono nelle pieghe della storia, le parole come il mare in piena dell’anima che, deprivata, sgorga prepotente dal silenzio. E poi c’è la fisicità pesante ed invadente degli attori, il loro sudore, gli spasmi dei loro muscoli provati da tante corse vuote, da un rivaleggiare impari che consuma la carne e affievolisce l’anima, pur incapace di soffocarla. Alla fine dello spettacolo ci si sente sfiniti ma grati, proprio come gli attori che ci hanno costretti a viverlo senza fiato, così vicini a noi, seppur lontani, sul piccolo palco con la sua gabbia immota al centro, di cui tutti un poco ci sentiamo colpevoli complici. Non si riesce a non pensare: ”quanta roba”, non saprei come esprimermi meglio, quanti temi, quanta storia, quanta umanità, ingiustizia e vita, con due soli attori ed una gabbia…. Tutto questo si riassume nel volto di Laura Negretti, attrice dall’incredibile talento e di grande bellezza, volto che in quest’occasione appare segnato, stanco e tirato, di fronte allo scroscio interminabile di applausi; un volto luminoso ma provato, che svela la sofferenza e la completa immersione nei personaggi che ha interpretato, quasi che la responsabilità e il peso di rappresentare tutte le donne e la discriminazione che le ha accompagnate, l’abbia naturalmente tramutata in loro, per due ore, su quel piccolo palco, che è diventato il mondo intero.

Mai più discriminazione nei confronti delle donne.

La sera, a casa, dopo aver assistito a Di Sabbia e Di Vento, rimane una sensazione totalizzante, la convinzione di aver partecipato a qualcosa di necessario su cui la nostra mente tornerà spesso e si interrogherà; forse senza costrutto, ma più probabilmente in modo positivo, perché ogni cambiamento nasce da un disagio, da qualcosa di smosso che non può essere ignorato. Certamente rimane la gratitudine per quella voglia che ci accompagna da quella sera, di fare, nel nostro piccolo, del nostro meglio, perché ogni donna non sia più costretta a sentirsi inconsistente come la sabbia e come il vento, e finalmente non sia più guardata come un pericolo, ma come una meravigliosa opportunità. Per molte notti a letto, chiudendo gli occhi, ho ripensato a quella scena in cui, la voce registrata di Camille, accompagnata da una musica struggente, rivolgeva alla cara madre le parole delle sue missive rimaste inascoltate, parole affettuose e cariche di speranza, affinché, finalmente, andasse a prenderla e la liberasse dall’ingiusta solitudine del manicomio… E’ una scena da pelle d’oca, indelebile, talmente è suggestiva, e ogni volta che ci penso è lo stesso groppo in gola che mi dice mai più, mai più…

Luca

 

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2 thoughts on “La discriminazione femminile oggi e nella storia; Di Sabbia e Di Vento

  1. Mai un nostro spettacolo è stato capito, inteso, scandagliato e mi viene da dire vissuto così profondamente, intensamente e chiaramente come emerge dalle parole di Luca Fumagalli. Chiamarla RECENSIONE suonerebbe riduttivo; questa volta è un qualcosa di più! Sono le parole di un essere umano che è riuscito ad entrare in piena sintonia con altri cinque esseri umani e a decifrarne in maniera totale il loro lavoro che, nel caso di DI SABBIA E DI VENTO, è stato un lavoro faticosissimo, sudatissimo e desideratissimo. Lei mie non sono semplici parole di circostanza per ringraziare chi ha scritto una recensione bella e assolutamente positiva. Vogliono essere molto di più. Sono il felice stupore di chi scopre che chi le ha scritte è riuscito a fare proprie le parole della drammaturgia di Marco Filatori ad entrare nelle pieghe più profonde degli intenti di regia di Luca Ligato, a decifrare la matrice originaria da cui poi è scaturita la scenografia di Armando Vairo e infine non si è limitato a guardare me ed Alessandro Baito sul palco ma ha vissuto assieme a noi sul palco! Questa non è una semplice recensione ma qualcosa di più; è essa stessa arte!

    1. L’ispirazione per scrivere una bella recensione può scaturire soltanto dalla bellezza e dall’importanza di ciò a cui si ha assistito, grazie a te Laura Negretti, a tutti voi.

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